Come promesso, con l’appuntamento di oggi continuiamo il miniciclo sulla seconda generazione di console iniziato due settimane fa.
Recuperiamo dunque le fila del discorso. Ci troviamo negli anni ’70 e l’industry è un settore in divenire. Atari è appena nata e sta per prendere corpo la rivoluzione delle menti della Silicon Valley, capitanata da Gates, Jobs e Wozniak ed altri giovani brillanti provenienti in gran parte dalla fucina dello Xerox PARC.
Parallelamente al lavoro della Radofin, compagnia come abbiamo già visto inizialmente specializzata nella produzione e vendita di calcolatrici, un altro attore si stava affacciando in sordina sulla scena.
Si trattava della Fairchild. Probabilmente il nome non vi dirà granché ma scopriremo nel proseguo del post come sia fortemente intrecciato all’evoluzione dell’intero ITC.
Gli anni ’70, lo sappiamo dalle cronache, ma molti lo hanno vissuto sulla propria pelle, sono stati il periodo di transizione per eccellenza del secolo scorso.
Rivoluzioni sociali, di costume, culturali ed anche tecnologiche.
L’Informatica fino ad allora era materia di pochi per pochi. Circostanziando i “pochi”, possiamo riassumerli sostanzialmente con l’esercito ed alcune delle più grosse facoltà in giro per il mondo, in grado di spendere ed investire nella ricerca grazie a bilanci da vere e proprie aziende.
Ma con l’avvento delle nuove generazioni cominciava ad emergere il bisogno per i giovani di sapere, di poter studiare e conoscere. Non è un caso che il fenomeno dell’hacking, seppur fosse già noto nella letteratura antecedente, prospera ed acquisisce coscienza di sé (con lo Jargon File del 1973) proprio in questi anni.
Uno dei requisiti fondamentali era avere a disposizione gli strumenti con cui poter apprendere.
Ma Bill Gates come avrebbe potuto teorizzare il pc su ogni scrivania senza che ci fosse un pc?
La rivoluzione informatica dei seventies fu possibile solo grazie al lavoro di ingegneri, informatici e matematici svolto nei decenni precedenti e che consegnarono alla storia le piattaforme hardware sulle quali far girare il software.
Facciamo dunque un ulteriore salto nel passato e stabiliamoci per un attimo negli anni ’50.
Dopo il 1947, quando Bardeen, Brattain e Shockley (tre ricercatori dei Bell Labs), crearono il primo transistor a semiconduttore, il mondo dell’elettronica non sarebbe più stato lo stesso.
Da lì a breve cominciò una rapida ascesa verso la costruzione di macchine sempre più complesse ed in grado di automatizzare elaborazioni e calcoli prima effettuati dall’uomo.
Nel 1955 lo stesso dipartimento confezionò il primo computer a soli transistor a semiconduttore, mandando definitivamente in pensione le valvole termoioniche le quali avevano reso celebre l’ENIAC.
I vantaggi, non ultimo la miniaturizzazione dei componenti, erano innumerevoli.
Solo un anno più tardi William Shockley si licenziò dalla precedente posizione per tentare l’avventura imprenditoriale. Il fisico americano, figura controversa a causa delle sue convinzioni sull’eugenetica, nel 1956 fondò la Shockley Semiconductor Laboratory, una divisione in realtà della Beckman Company Inc, compagnia specializzata nella fabbricazione e commercializzazione di apparecchiature biomediche.
Beckman diede il suo bene placet all’iniziativa dopo aver vagliato il progetto del diodo a 4 strati che Shockley aveva in mente di produrre per sostituire i transistor dell’epoca. Inoltre il mercato dei semiconduttori si stava facendo particolarmente appetibile considerata la vastissima gamma di prodotti ove poterli impiegare.
Il problema però era reclutare personale specializzato e desideroso di mettersi in gioco.
All’inizio provò con gli ex colleghi della Bell Labs ma il rifiuto lo portò a concentrarsi sul mondo accademico.
E così vennero reclutate quelle che allora venivano considerate alcune delle migliori teste provenienti dalle facoltà di Ingegneria degli Stati Uniti.
Nel 1957 però otto tra questi ex-studenti lasciarono il posto di lavoro per fondare autonomamente una compagnia analoga. Nelle cronache della Silicon Valley, che nasce proprio con questi antefatti, gli sono riconosciuti come “The Traitorous Eight”, gli otto traditori appunto.
Tutti menti brillanti e tutti con un futuro pieno di speranze davanti a loro, ma un paio di nomi spiccano in una virtuale Hall of Fame dell’Informatica: Robert Noyce e Gordon Moore.
Già sentiti? Entrambi furono i responsabili della nascita e successo di Intel, il secondo in particolare viene spesso ricordato per la legge omonima, la “Legge di Moore”.
Dopo aver cercato inutilmente risorse finanziarie per poter cominciare a lavorare, finalmente una società mostra interesse nei propositi dei giovani ammutinati: la Fairchild Camera and Instruments.
La compagnia fondata da Sherman Fairchild si occupava principalmente di forniture all’esercito americano, i cui contratti onerosi davano spazi di manovra per poter spendere considerevoli somme in R&D.
Nacque quindi la Fairchild Semiconductor, con l’obiettivo principale di rimpiazzare a poco a poco il germanio, materiale utilizzato nei semiconduttori.
Lo stesso Robert Noyce, in realtà arrivato sei mesi dopo il lavoro di Jack Kilby, nel 1959 inventò il primo circuito integrato.
Dopo diversi problemi nel processo produttivo, arrivò la svolta e la tecnologia del processo planare inventata da un altro dei dissidenti, Jean Hoerni, permise la produzione in scala di transistor in silicio.
Fu l’inizio di un’ascesa senza precedenti.
In soli sei anni queste invenzioni portarono la Fairchild ad essere l’unica compagnia del settore con i bilanci in attivo, dominando la scena nordamericana.
Nel 1967 però la competizione dettata da altre compagnie tra cui Motorola e Texas Instruments, nonché conflitti interni con la proprietà (che aveva sede a New York e pretendeva di dirigere il totale dei flussi di denaro generati con la divisione dei semiconduttori), provocò un tracollo finanziario.
Ed un anno dopo una grave perdita colpì la stessa Fairchild.
Dopo aver compreso che le acque si facevano agitate e non vi era più tanta fiducia nell’operato dei ricercatori, Robert Noyce e Gordon Moore decisero di cambiare lido per fondare Intel, nel 1968.
L’ascesa fu repentina tanto quanto la caduta. Da quel momento il primato tecnologico spettò quasi sempre ai competitor, come nel caso del primo microprocessore, il 4004, prodotto nei laboratori di Santa Clara nel 1971 grazie al rivoluzionario operato di Federico Faggin (responsabile della SGT, silicon gate technology), anch’egli “scippato” dalla Fairchild.
Nonostante tutto però, la dirigenza, intravide con una qual certa lungimiranza una delle possibili e profittevoli applicazioni dei semiconduttori: i videogiochi.
Prima di lasciare, Noyce, aveva lavorato al design e progettazione di un processore piuttosto complesso per l’epoca, nome in codice F8.
Jerry Lawson prese il testimone e confezionò il design della nuova piattaforma da gioco, la prima della seconda generazione di console, ovvero il Fairchild VES (Video Entertainment System).
Le caratteristiche tecniche erano le seguenti:
- CPU: Fairchild F8 8 bit con clock 1.79 Mhz
- RAM: 64 bytes e 2 KB di VRAM dedicate
- Video: controllato dalla CPU in grado di fornire una risoluzione massima di 128*64 pixel con una palette di 8 colori e sprite di un singolo colore
- Audio: 3 canali
- Supporto: cartuccia
- Uscite: RF composito
- Periferiche: 2 joystick
Con una affannosa corsa tecnologica, nell’agosto del 1976, un mese prima del 1292 APVS, fa la sua comparsa sul mercato statunitense con un prezzo di lancio di 169.95 dollari. I primi risultati furono più che positivi, non solo era nato il primo sistema di gioco a cartucce programmabile, ma era stata battuta sul tempo anche la temibile concorrenza della RCA, la quale si vociferava stesse da tempo progettando un proprio prodotto fin dai tempi del Magnavox Odissey.
Purtroppo per la Fairchild però il vero concorrente si chiamava Atari ed era di tutta altra pasta.
Nel 1977 infatti venne rilasciato il VCS, dotato non solo di un comparto hardware migliore ma anche di titoli più appetibili.
La dirigenza tentò una banale mossa di marketing rinominando il proprio VES in Fairchild Channel F ma non sortì, ovviamente i frutti sperati.
L’uscita dal settore però fu dettato più che dalla concorrenza spietata di nomi più blasonati e scafati ma anche dal cambio di proprietà della Fairchild Semiconductor, passata sotto il controllo di una compagnia specializzata nel campo petrolifero di nome Shclumberger Limited la quale non aveva alcun interesse nel settore dei videogiochi.
Un anno dopo Zircon acquisì i diritti ed i brevetti della console commercializzando la rev. 2 ma ormai il dramma si era già consumato.
Tra i 26 giochi usciti spiccano tennis e hockey, precaricati con la console e cloni di tutto rispetto di Pong, ed anche Space War.
Interessante fu la scelta di numerare le “videocart”, così erano chiamate le cartucce, per incentivare i potenziali acquirenti a completare la soft-teca: una notevole intuizione di quel che sarebbe stato il mondo dei videogiochi di lì a poco, fatto non solo di consumo ma anche retrogaming e collezionismo.