Sono mesi che si sente parlare dell’ormai famigerato disastro petrolifero avvenuto nel Golfo del Messico, cominciato il 20 Aprile 2010 e, sembra, terminato il 15 Luglio dello stesso anno. Ma cos’è successo veramente e quali sono le conseguenze che pagheremo (sia in termini figurati che letterali) per questa versamento di petrolio?
La Deepwater Horizon era un’unità galleggiante e semi sommergibile di trivellazione che, al momento dell’incidente, era in leasing alla compagnia petrolifera BP (British Petrol). Il 20 Aprile 2010 stava trivellando un pozzo esplorativo nel campo petrolifero Macondo, nel Golfo del Messico, a pochi chilometri al largo della costa della Luisiana.
Approssimativamente alle 21:45 di sera una colonna di gas metano proveniente dal pozzo, altamente pressurizzato, ha risalito lungo la trivella fino alla piattaforma, infischiandosene delle valvole di sicurezza, si è espansa di colpo e ha causato un’esplosione epocale, uccidendo undici lavoratori a bordo della piattaforma. La Deepwater Horizon è rimasta in fiamme per 36 ore, incurante dei tentativi di estinguere il fuoco, per poi sprofondare sul fondo del mare, profondo circa 1500 metri.
Il giorno dopo, il petrolio ha cominciato a scorrere dal pozzo lasciato scoperto dalla trivella, cominciando uno dei versamenti petroliferi più gravi e intensi della storia. Lo scenario più pessimista stima un versamento di 162000 barili di petrolio al giorno, equivalenti a quasi 26mila metri cubi di petrolio, versati nel mare ogni giorno. È comprensibile a tutti la gravità di tale evento.
La superficie del mare coperta di petrolio è vastissima. Uno strumento on-line di google Earth permette di vedere quanto grande è la macchia di petrolio, centrandola in una città a piacimento. Un poster che ha circolato per il web nell’ultimo periodo mostra gli effetti economici di tale incidente: con tutto il petrolio che è stato versato si potrebbe guidare un SUV di quelli più “succhia-benzina” attorno l’equatore facendo la bellezza di 60200 giri attorno al pianeta.
Sono stati svolti numerosi tentativi per fermare questo costante versamento di petrolio, ma senza grande successo. Inizialmente si è provato a utilizzare dei veicoli comandati da remoto per chiudere le valvole di sicurezza, senza successo. Si è poi provato a utilizzare degli agenti disperdenti, che avrebbero dovuto legarsi chimicamente alle molecole di petrolio, per farlo precipitare sul fondo del mare. Si è allora provata la tecnica “top kill“, cercando di entrare con un’altra trivella per tappare l’imboccatura del pozzo con del cemento.
Anche questa tecnica si è rivelata inefficace. Alla fine la BP ha provato a coprire il pozzo di petrolio con una camera di contenimento, che attualmente sembra funzionare, anche se una situazione di pressione elevata potrebbe causare un nuovo versamento.
Ma quali sono le conseguenze di questo disastro?
Se le conseguenze economiche come l’innalzamento del prezzo del barile e il tracollo finanziario della BP sono sotto gli occhi di tutti vi sono considerazioni ancor più generali. Il governo americano ha puntato il dito contro la BP, assegnandogli la totale responsabilità del caso.
La popolazione americana lamenta l’intervento poco fermo e relativamente ritardatario di Obama. Allo stesso tempo l’ex direttore del programma ambientale dell’ONU, Klaus Toepfer, critica la gestione della situazione da parte della BP e ci rassicura che un tale disastro avrebbe una probabilità estremamente bassa di avvenire nel Mare del Nord o in altre zone del mondo.
Ma ne siamo veramente sicuri? La ricerca ormai disperata di petrolio da parte delle aziende petrolifere è alla base di guerre e disastri su scala mondiale, e quest’ultimo evento non va sottovalutato nemmeno per la sua portata sociale: secondo me urge trovare una seria alternativa ai combustibili fossili, perché i rischi che le aziende sono disposte a correre pur di ottenere la massima quantità di materiale vendibile sono troppo alti per il nostro pianeta.
Questo immenso volume di petrolio si è inserito nella cosidetta “Loop Current”, una corrente profonda sotto il Golfo del Messico che si inserisce direttamente nella Corrente del Golfo, che farà scorrere il flusso attraverso l’Oceano Atlantico fino sulle coste dell’Europa Occidentale. I turbini della corrente mescolano il petrolio all’acqua marina, di fatto cancellando la sottile patina oleosa sulla superficie del mare, quindi i satelliti non potranno più tracciare il percorso e l’espansione della macchia d’olio, ma non per questo essa sarà meno inquinante.
La flora e fauna marina, pesci, delfini, uccelli, coralli e chi più ne ha più ne metta ne pagherà le conseguenze per decenni. Anche la popolazione umana locale, nella costa della Louisiana, rischia di subire conseguenze sulla propria salute. Da problemi respiratori a un’innalzamento dell’incidenza di tumori, un inquinamento chimico di tale portata non può che avere delle ripercussioni sulla vita di chi si trova nei dintorni.
Per quanto trovi giusto che i responsabili, in questo caso la BP, paghino le conseguenze di ciò che hanno causato, vorrei vedere una reazione più globale per tale disastro, che dovrebbe aprire gli occhi a tutta la popolazione mondiale, facendo capire che un’alternativa si rende più che mai necessaria.