Chi non fosse ancora convinto del fatto che gli interessi delle major e quelli degli ISP sono in rotta di collisione, farebbe bene a dare uno sguardo ai risultati della 2008 Digital Entertainment Survey, commissionata da uno studio legale inglese specializzato sui media e avente come campione 1608 individui inglesi di età compresa fra i 15 e i 54 anni.
I risultati più salienti della ricerca mostrano che 7 “pirati” su 10 smetterebbero di “fare cose da pirati” (would cease pirating… quindi P2P=pirateria?) in caso di avviso dal proprio ISP. Inoltre il 66% cesserebbe qualunque attività di download se percepisse un’alta probabilità di essere oggetto d’indagine, mentre il 62% si dichiara molto preoccupato delle attività di indagine sul P2P.
Dall’analisi – che ricordo essere stata commissionata da uno studio legale – possono essere facilmente tratte alcune conclusioni, che rappresentano, guardacaso, ottimi appigli per le posizioni dei detentori di diritti contro gli ISP.
1: La condivisione e il download di opere protette è un fenomeno strettamente legato al senso di impunità.
2: La “complicità” degli ISP gioca un ruolo fondamentale nel mantenerla, e quindi nel non disinnescare il P2P.
Malgrado l’analisi abbia un taglio piuttosto parziale, le sue conclusioni pongono problemi fondati. Torniamo quindi al punto che è stato sottolineato già qualche mese fa: gli interessi degli ISP e quelli delle major – e dei suoi avvocati – sono in netto contrasto. Il P2P, come veicolo di scambio legale o illegale, ha avuto e ha un suo peso, non misurabile ma ovvio, nella decisione di passare alla banda larga.
Fino a quando gli ISP non troveranno servizi alternativi che possano rimpiazzare su larga scala l’interesse suscitato dal P2P – leggasi distribuzione di contenuti, legale e a prezzo ragionevole – continueranno a resistere alle major, indossando i panni degli alfieri della privacy e della neutralità.
Non a caso proprio la neutralità degli ISP è nel mirino di recenti provvedimenti legislativi, volti alla responsabilizzazione dei provider rispetto ai contenuti veicolati. Il che apre un altro problema di non poco conto: come discernere l’uso legale del P2P da quello illegale? È possibile fare di tutt’erba un fascio, specialmente nel momento in cui sistemi come bit torrent prendono piede per un uso generalista? E poi, anche nel caso di un content filtering lato ISP generalizzato, come contrastare la migrazione a piattaforme P2P crittografate?
Arriveremo forse a una rete a due velocità – peraltro in buona parte già realizzata – in cui sono fruibili senza limiti solo i contenuti distribuiti dal provider? Quanto sareste disposti a pagare per una connessione del genere? O piuttosto saremo costretti a devolvere – a priori – una quota del costo di connessione alle amate e bisognose major?