I neutrini sono probabilmente la particella più interessante mai scoperta, ed al momento di certo sono la particella che ha più cose da raccontarci. Il mese scorso è apparso sulla rivista di divulgazione scientifica “Scientific American” un simpaticissimo articolo che spiega “perché amiamo i neutrini”.
Come l’autore di quell’articolo, devo ammettere prima di cominciare a scrivere questo post che sono di parte: una serie di seminari di “astroparticelle” che ho seguito durante il mio terzo anno di università mi hanno fatto conoscere le potenzialità di questa particella, e ormai sono diversi anni che mi dedico alla ricerca forsennata di neutrini provenienti dall’Universo lontano.
I ricercatori dell’esperimento OPERA, però, non hanno bisogno di osservare lo spazio intergalattico per cercare neutrini. Loro se li fanno arrivare direttamente a casa dai laboratori del CERN, a Ginevra, facendogli attraversare la bellezza di 730 km di roccia prima di raggiungere il rivelatore posto nel cuore del monte Gran Sasso.
I neutrini sono particelle la cui esistenza è stata supposta nel 1930, dalla mente geniale di Pauli, per giustificare la conservazione dell’energia nel decadimento beta, ovvero il meccanismo che trasforma un neutrone in un protone (le due particelle che formano il nucleo atomico).
Nonostante l’interesse che queste particelle suscitarono nella comunità di fisici teorici (tra cui Enrico Fermi, che ne coniò il nome) si dovette aspettare il 1956 perché un neutrino venisse rivelato tramite il processo inverso: la “cattura” del neutrino da parte di un protone per poi trasformarsi in un neutrone. I neutrini sono entrati a far parte del “Modello Standard” delle particelle, ovvero la famiglia completa delle particelle elementari che conosciamo, e con cui è possibile costruire tutto il mondo che ci circonda:
Come si vede dall’immagine i “leptoni”, le particelle colorate in blu nel diagramma, il cui elemento più noto è l’elettrone (la base dell’elettromagnetismo e la particella che “ruota” attorno al nucleo negli atomi di materia), possono essere di tre tipi, di tre famiglie diverse: elettronici, muonici o tau. La differenza tra l’uno e gli altri, è la massa: l’elettrone è il fratello più leggero di tutti, mentre il tau è il più pesante. pur avendo tutte le altre caratteristiche in comune queste tre famiglie sono chiaramente distinte, e non intercambiabili.
I misteri sulla loro natura non finiscono qui. Essendo i neutrini la vera e propria firma di un decadimento radioattivo, è dagli anni sessanta che si è cominciato a pensare di utilizzarli per comprendere con precisione le reazioni che avvengono all’interno del nostro Sole, per comprenderne il meccanismo di produzione di energia.
Due scienziati, oggi considerati dei veri e propri guru della fisica dei neutrini, John Bachall e Raymond Devis hanno disegnato e messo a punto il primo esperimento per la rivelazione di neutrini solari. In particolare si pensava di misurare la presenza di un certo numero di neutrini elettronici, cioè facenti parte della famiglia dell’elettrone. Fu con grande disappunto che dopo diversi anni di osservazione si ritrovarono ad avere solo un terzo degli eventi che si aspettavano inizialmente.
La spiegazione di questa mancanza di neutrini è da ricercare nella teoria inizialmente proposta da Bruno Pontecorvo, secondo cui i neutrini hanno in realtà la capacità di “oscillare” o trasformarsi da un famiglia all’altra. Quanto e come i neutrini possono passare da una delle tre famiglie ad un’altra dipende fondamentalmente da due parametri: la loro energia e la distanza che percorrono. Questo vuol dire che i neutrini elettronici provenienti dal Sole si trasformano in neutrini di tipo mu e di tipo tau, e solo una certa frazione rimane della famiglia elettronica.
Numerosi esperimenti sono sorti per domostrare la teoria dell’oscillazione dei neutrini. A partire da SNO (Sudbury Neutrino Observatory) in grado di misurare neutrini provenienti dal Sole ma anche di distinguerne la famiglia, ai famosi esperimenti giapponesi come Kamiokande, SuperKamiokande e KamLAND. Tutti questi esperimenti, però sono finora riusciti esclusivamente a misurare la scomparsa di neutrini, non la loro apparizione.
Per esempio gli esperimenti come KamLAND sanno la quantità di neutrini elettronici che si aspettano di osservare nel proprio rivelatore, in base al numero di centrali nucleari presenti nei dinorni (le quali sono un’ottima sorgente di neutrini), e misurano quanti neutrini in meno di questa previsione riescono effetivamente ad osservare. Quelli che non hanno visto sono quindi oscillati in una nuova famiglia.
Ancora di maggior interesse è però misurare l’apparizione di un neutrino di una specie diversa rispetto a quella in cui è stato creato. Ed è proprio questo lo scopo dell’esperimento OPERA. OPERA è composto da una serie di 200 mila mattoncini di piombo, alternati a un’emulsione fotografica, che permette di ricostruire con estrema precisione che particelle hanno attraversato il detector e con quale energia. Nel momento in cui un neutrino della famiglia muonica interagisce con la materia all’interno del rivelatore crea una cascata di altre particelle, e lo studio di queste ultime permette di capire l’origine del neutrino iniziale.
È del 31 Maggio la press release del CERN, in cui viene annunciato il primo evento: la misurazione di un neutrino appartenente alla famiglia Tau, apparso tra i milioni di neutrini di tipo Mu lanciati dal laboratorio CNGS (Cern Neutrinos to Gran Sasso). Questo importantissimo risultato, che può essere considerato la prova definitiva dell’oscillazione dei neutrini, viene solo dopo qualche settimana dal lancio del nuovo esperimento ICARUS, condotto da Carlo Rubbia assieme a una ventina di istituti internazionali, che si prefigge di ottenere lo stesso risultato, ma con un approccio molto diverso.
L’oscillazione dei neutrini è una vera e propria finestra verso una nuova fisica, oltre il Modello Standard. Infatti nell’attuale descrizione dello “zoo” di particelle i neutrini sono completamente privi di massa. Per poter oscillare, però, devono avere una massa, seppur molto molto piccola. Questo prova ancora una volta come sia necessario ridiscutere la nostra conoscenza della natura: il compito del nuovo acceleratore LHC non si ridurrà esclusivamente a cercare il famoso Bosone di Higgs, necessario per confermare il Modello Standard, ma dovrà spingersi oltre, per esplorare nuove teorie e una nuova fisica.