Come mi piace ripetere, il mondo è pieno di sorprese per chi non ha memoria. Il tablet per esempio: un oggetto su cui da decenni i produttori si scervellano, alla ricerca di un metodo di interazione uomo-macchina più intuitivo di quello mediato da tastiera e mouse.
Il debutto della GUI su personal computer, l’interazione dell’utente con oggetti più o meno autoesplicativi rappresentati da icone, rappresenta in questo percorso un punto di grande accelerazione: le precedenti interfacce a caratteri potevano prestarsi ad un input touch-based, ma solo limitatamente a funzioni ben determinate, che costituivano una piccola parte degli scenari d’uso del computer.
Con la GUI al contrario, l’industria inizia a porsi il problema di un nuovo metodo d’interazione, che complementi l’intuitività dell’interfaccia grafica dietro al monitor e contribuisca così a trasportare il computer verso una diffusione di massa.
In questa nuova puntata della rubrica dedicata ai cultori dell’informatica d’annata, getteremo un occhio sulle origini del tablet e accenneremo ad alcuni dei primi esperimenti in questa direzione.
Prima di lanciarci a caccia di hardware, è interessante dare uno sguardo ai presupposti storici del fenomeno. A partire dai primi brevetti sul riconoscimento della grafia e sull’immissione di testo via stilo in un dispositivo elettronico, che risalgono a fine ‘800 – inizio ‘900, fino al prodigioso Memex di Vannevar Bush (1945), precursore di molte delle rivoluzioni informatiche oggi in atto, tra cui per l’appunto l’input tramite scrittura manuale, fino al solito Xerox PARC, dove manco a dirlo, era già pronto un prototipo di tablet – il Dynabook, di cui parleremo prima o poi più approfonditamente – che prevedeva l’input via stilo.
Passando per Star Trek e 2001: Odissea nello spazio (dove compaiono dispositivi simil-tablet) arriviamo al Pencept (1985), un computer desktop basato su MS-DOS, con input via tavoletta grafica, senza dimenticare il citato HP-150, desktop IBM incompatibile, dotato di monitor touchscreen, ma anche il mitico sintetizzatore computerizzato Fairlight CMI (1979), dotato di input via stilo su interfaccia testuale.
Arriviamo quindi al 1989, anno di debutto del GridPad, agli annali il primo vero tablet disponibile sul mercato, prodotto da quella stessa Grid (poi acquisita da Tandy – Radio Shack) che pochi anni prima aveva rivoluzionato il formato del computer portatile con il Grid Compass.
Dal lontano 1989 inizia il nostro volo radente sul formato e partono i primi vent’anni del tablet, un oggetto che schiere di giornalisti rubati alla cronaca rosa non esitano oggi ad attribuire al genio indiscusso di Apple.
Proprio Apple: un’azienda che più di ogni altra ha incarnato la massima einsteiniana “il genio consiste nel nascondere le proprie fonti”, e ha costruito le sue pietre miliari non sull’inventiva ma, questo sì, sul perfezionamento e il marketing di innovazioni esistenti.
Alla faccia dei citati analisti tecnologici dell’ultim’ora, passiamo a parlare del GridPad, progettato e assemblato da Samsung (il mai nato dispositivo PenMaster) attorno alla CPU 8088 e a una versione di DOS modificata per accettare l’input da stilo.
Al momento del suo rilascio, il GridPad pare arrivato da un’altra dimensione. Sorprendentemente compatto e leggero (poco più di 2 Kg di peso), privo di qualunque dispositivo di input che non fosse lo stilo, il GridPad è però più bello da ammirare che da utilizzare, a causa di un sistema di input imperfetto e della necessità di applicazioni sviluppate ad hoc.
Successive evoluzioni del prodotto eliminano alcuni dei deficit della versione iniziale, integrando un hardware più potente (basato su 386) e la GUI di Windows modificata per l’input da stilo.
Di poco successivi al GridPad sono i sistemi MicroSlate Datellite, che aggiungono all’innovazione dell’input via stilo, una costruzione molto resistente per sopportare gli stress meccanici tipici dell’uso “sul campo”. Basati su CPU x86 e OS DOS, Windows, OS/2, godranno di un successo di mercato molto limitato, a causa del posizionamento non proprio consumer e di un prezzo molto elevato.
Nei primi anni ’90 anche i due “gorilla” IBM e Microsoft entrano nel mercato, la prima con un proprio dispositivo e la seconda con un OS, l’oscuro Windows for Pen Computing.
Merita una menzione specifica anche il già raccontato Apple Newton (1993), gioiello dell’allora CEO John Sculley, cancellato dalla lista delle priorità di Apple dopo il rientro di Jobs.
Negli anni che seguono una pletora di produttori entra nel segmento tablet il quale, malgrado gli sforzi di molte aziende, rappresenta ancora una esigua nicchia. Con o senza stilo, gli approcci che si confrontano sul campo sono essenzialmente due: ci sono produttori che tentano di adattare il sempre più popolare PC Wintel al formato (magari accessoriando il tablet con una tastiera fisica) e chi si presenta con soluzioni proprietarie integrate, che s’interfacciano col PC ma non hanno la pretesa di sostituirlo.
Fra queste ultime soluzioni va menzionata la declinazione del formato tablet in PDA, un segmento che ha nell’americana Palm e nel suo Pilot dei veri e propri simboli.
È interessante a questo proposito, e arriviamo al presente, l’acquisizione di una Palm sempre più in crisi, da parte di HP. Un’acquisizione che arriva dopo la cancellazione dello slate mostrato orgogliosamente da Ballmer prima del lancio di iPad e che, come ho scritto in una precedente analisi, rafforza due concetti:
- che il tablet non sia per ora un oggetto idoneo a sostituire il PC ma vada sviluppato in modo simbiotico, attorno ad un sottoinsieme delle funzioni del PC;
- che gli OS destinati al mondo desktop non siano idonei ad essere adattati al formato tablet e alle sue peculiari modalità di input.
A questo proposito non possiamo non menzionare la molto meno che stupefacente esperienza garantita dalle estensioni touch di Windows 7, e il simmetricamente straordinario progetto Microsoft Surface, sviluppato in totale discontinuità con l’evoluzione di Windows, le cui innovazioni sono ancora bel lontane dal mercato di massa.
Quale migliore esempio della differenza fra innovazione ed esecuzione?