Quest’oggi per la rubrica Energia e Futuro affrontiamo un tema particolarmente interessante, anticipando con questo post la presentazione della tecnologia delle Celle a Combustibile, infatti si parlerà di una particolare soluzione basata su di esse denominata BloomEnergy.
Tutto è iniziato a febbraio 2010 quando tra i media ha iniziato a spargersi la notizia di una “rivoluzione” sulle tecnologie per l’energia capace di rappresentare una soluzione valida, efficiente e pulita per la produzione di energia.
Abbandonando gli annunci sensazionalistici, e nello spirito di questa rubrica, andiamo ora a vedere di cosa si tratta realmente, pur senza entrare in esposizioni tecniche troppo complicate.
BLOOMENERGY – DI COSA SI TRATTA?
BloomEnergy è il nome di una compagnia Americana nata nel 2002 con il nome Ion America e successivamente rinominata nel 2006 con il nome attuale, che ha sviluppato e prodotto un particolare tipo di Cella a Combustibile basato su tecnologie di derivazione aerospaziale sviluppate dall’Ing. K.R. Sridhar mentre lavorava per la NASA al progetto sull’esplorazione di Marte.
La necessità di disporre di ossigeno richiese lo sviluppo di un dispositivo che, alimentato con metano ed anidride carbonica, oltre ovviamente energia elettrica, fosse in grado di produrre appunto ossigeno.
Con il cambiamento dei piani della NASA, Sridhar pensò di “invertire il processo” per produrre energia elettrica a partire dal metano, senza passare attraverso la combustione.
Trovati i fondi per creare le strutture necessarie allo sviluppo di questa tecnologie, ha inizio la fase di ricerca vera e propria alla quale segue la realizzazione del BloomEnergy Box, ovvero uno stack di celle a combustibile racchiuso in un contenitore di ridotte dimensioni, realizzate con la tecnologia sviluppata dall’azienda.
La tecnologia sviluppata da BloomEnergy si basa sulle solid oxide fuel cell (SOFC), (le cui caratteristiche generali verranno esposte in successivi post sulle fuel cell) ed il “segreto” su cui si basa la loro innovatività non è molto chiaro, esistono ipotesi che ritengono si tratti dei particolari rivestimenti di anodo e catodo, mentre altre ipotesi attribuiscono tali caratteristiche ai materiali usati per le piastre ceramiche che costituiscono la parte più evidente della fuel cell, ma ad oggi non sembra chiaro quale sia questa particolarità.
Una immagine di una “slice” con il rivestimento anodico e catodico è la seguente:
BLOOMENERGY SERVER
Per potere fornire quantitativi di energia consistenti sono stati realizzati dei server, overo dei grossi blocchi di fuel cells racchiusi in unità dalle dimensioni di piccoli containers, che collegate tra di loro possono fornire la scalibilità in termini di potenza ed energia richiesta dalle utenze:
Alcuni server sono stati installati e testati da diverse compagnie molto note negli USA e nel mondo, quali Ebay, Google, FedEx ed altre ed i risultati sono stati incoraggianti, a detta di BloomEnergy e delle aziende che hanno ospitato i server, permettendo un sostanzioso risparmio in termini economici rispetto all’acquisto dell’energia.
BLOOMENERGY – COME FUNZIONA
La soluzione proposta da BloomEnergy appare come risolutiva rispetto al problema principale che caratterizza la produzione di energia, ovvero quello relativo alle emissioni, in quanto da più parti è stata ritenuta una tecnologia non inquinante in quanto non vi è presenza di combustione.
Il processo necessita come “fuel” metano o gas naturale,ma per semplicità è meglio riferirsi al metano la cui formula chimica è nota ai più, il quale si combina con l’ossigeno presente nell’aria e produce anidride carbonica e vapore acqueo come prodotti:
CH4 + 2O2 → CO2 + 2H2O
Da un’analisi di tale reazione chimica non si nota differenza alcuna con la combustione del metano, eccetto per la presenza tipica nel caso di combustione di componenti come gli ossidi di azoto NOx (in caso di combustione di gas naturale o metano non si ha produzione di particolato ed ossidi di zolfo), inoltre tale reazione produce un ammontare di CO2 assolutamente identico al corrispettivo prodotto dalla stessa quantità di combustibile nel caso di utilizzo in un impianto a combustione, e l’energia rilasciata dalla reazione e quindi sfruttabile ai fini della conversione elettrica risulta esattamente lo stesso.
Da questo primo punto è evidente come si possa ritenere una soluzione “ecologica” esclusivamente a patto di non riferirsi alla CO2, il cui ammontare riferito all’unità di metano consumato è identico.
Un punto importante che può differenziare in termini ambientali questa soluzione rispetto ad una tradizionale risiede nell’efficienza, ovvero quale è la percentuale di energia primaria (energia chimica del fuel) che viene convertita realmente in energia elettrica, misurata ai punti di connessione dell’impianto con la rete o con l’utenza.
Per quanto riguarda un impianto a ciclo combinato moderno tale efficienza si attesta sul 58 – 60%, con un trend di crescita verso il 65% nel futuro, mentre la soluzione proposta da BloomEnergy (dato calcolato a partire dal consumo indicato alla potenza nominale dal produttore) presenta un rendimento di circa il 52%.
I costi della di tale soluzione sono di circa 800mila dollari Americani per la soluzione da 100kW di potenza nominale, e la vita utile è valutata in 10 anni di esercizio.
Tali dati sicuramente saranno soggetti ad un miglioramento con l’industrializzazione della produzione, pertanto è auspicabile una riduzione del costo di tali dispositivi ed un aumento della vita utile, soprattutto perché gli equivalenti termoelettrici presentano vite operative superiori ai 20 anni.
Il costo del kWh viene indicato come più conveniente rispetto ad un tradizionale impianto termoelettrico, anche se su questo punto non sembra ci siano dei dati validati in quanto per valutare il costo del kWh bisogna tenere conto anche del costo dell’impianto e la grande variabilità dei costi a kWh per le tecnologie tradizionali in funzione del tipo di impianto e del combustibile utilizzato, pertanto allo stato attuale sembra poco credibile tale convenienza.
Da questa analisi resta il dubbio su quale sia il vero vantaggio di tale soluzione, fortemente sponsorizzata da personaggi celebri come l’ex Segretario di Stato Americano Colin Powell, ed in effetti sembra che l’hype creato intorno a questa tecnologia sia in gran parte esagerato, ma bisogna riconoscere alcune qualità interessanti, tra tutte la sua compattezza e scalabilità che ne consente un impiego per la generazione distribuita, mediante la quale è possibile ridurre le perdite di energia delle linee di distribuzione, ma si introducono d’altro canto dei problemi di gestione della rete che richiedono un’attenta progettazione delle stesse.
Per quest’oggi è tutto, a lunedì prossimo, sempre su AppuntiDigitali, sempre sulla nostra rubrica Energia e Futuro.